LA TARANTO DEI TALEBANI E LA CADUTA DEGLI DEI.

Il progresso, si sa, porta sviluppo tecnologico e sociale, ma produce anche inquinamento. Inquinamento prodotto dalle industrie, prodotto dalla circolazione dei veicoli, prodotto dal riscaldamento domestico. In inverno, spesso, si sente che le grandi città limitano la circolazione dei veicoli e l’uso del riscaldamento domestico, connubio velenoso, per render più respirabile l’aria. Proprio a Taranto l’ex sindaco Rossana Di Bello emise un’ordinanza di divieto al transito in città alle corriere della Sud Est che portavano i pendolari dalla provincia. Nei paesi sottosviluppati dove si muore ancora di fame il problema dell’inquinamento non esiste: aria pura e panza vuota. Ecco perché a nessuno verrebbe in mente di vietare i riscaldamenti o impedire la circolazione dei veicoli per le strade urbane ed extraurbane, ne tanto meno si proverebbe a chiudere qualsiasi attività economica, che direttamente o indirettamente produce inquinamento. Certo è che vige un principio: tutta quanto è dannoso deve stare lontano da noi, in casa d’altri!! Purtroppo spesso gli altri siamo noi e dobbiamo farci una ragione. Ovviamente non manca chi auspica la giunglalizzazione delle città, ma, per fortuna, ancora sono in pochi.
Inoltre, c’è da considerare un altro aspetto, a proposito di inquinamento, non c’è solo l’Ilva e non c’è solo Taranto. Ma anche Gela, Priolo, Bagnoli, Porto Torres, le miniere dell’Iglesiente, Marghera e decine di altri siti industriali ancora in funzione o abbandonati. Quelli di interesse nazionale sono 57. Da una stima approssimativa, per la bonifica servirebbero 30 miliardi di euro, ma nel bilancio del ministero dell’Ambiente, alla voce “bonifiche” sono disponibili 164 milioni. E la salute delle persone che lavorano negli impianti ancora in funzione, quelle che vivono nelle vicinanze, cosa rischiano? Nessuno osa negare, compresi i dirigenti e i proprietari delle aziende, che qualche problema c’è. E il perenne ricatto è: bonificare vuol dire chiudere la fabbrica e mandare a casa decine di migliaia di lavoratori. Ma cosa si è fatto nel passato, cosa si fa oggi e quali sono i programmi futuri per sanare i siti? Una cosa da non dimenticare: le persone coinvolte sono più di 6 milioni. In Italia si calcola che i siti potenzialmente inquinati siano circa 13 mila e di questi 1.500 impianti minerari abbandonati, 6 mila e 500 ancora da indagare e 5 mila sicuramente da bonificare. Poco meno di 13 mila siti sono di competenza regionale (dai distributori di benzina alle piccole fabbriche che lavorano i combustibili), mentre 57 sono sotto la giurisdizione statale. Questi ultimi sono definiti dalla sigla SIN, vale a dire Siti di Interesse Nazionale.
Allora ci si chiede: perché si parla tanto e solo di Taranto e di ILVA?
«Perché a Taranto ci sono i “talebani”, ossia chi non sente ragioni contrarie alle proprie – spiega il dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” e scrittore-editore dissidente, che proprio su Taranto ha scritto un libro. – Quelli che nel privilegio dell’impiego pubblico si dedicano alla pseudo tutela dell’ambiente. Questi, nel nome della tutela della salute, non chiedono la sanificazione dell’Ilva, ma pretendono la sua chiusura. Non dell’Eni o della Cementir, anch’esse gravemente inquinanti: no, dell’Ilva. Questi che vogliono la chiusura dell’Ilva sono nati con l’Ilva o dopo che questa ha iniziato a produrre. Sono cresciuti con essa ed anche grazie ad essa. Però, si sa, non c’è gratitudine in questo mondo. E’ vero che sin da piccolo (ed i decenni son passati) quando mi apprestavo ad entrare in Taranto, la città da lontano la vedevo avvolta da una cappa di fumo, ma è anche vero che con l’Italsider (odierna Ilva) la gente non emigrava più. Tutti lavoravano in Ilva e tutti lavoravano per l’Ilva. Taranto senza l’Ilva e le altre grandi industrie sarebbe solo una città di cozzari. Ripeto. Non c’è gratitudine.
Per esempio, anche Trieste ha la sua Ilva. Lì è stato perseguito per calunnia l’ambientalista che denunciava l’esistenza dell’inquinamento. Paese che vai, usanza che trovi. A Taranto affianco agli ambientalisti di maniera troviamo chi da operaio è stato traviato dall’azienda e per gli effetti gli si ritorce contro. Troviamo ancora il capo della procura con i suoi sostituti e l’ufficio del Gip-Gup che, in generale dai dati elaborati in Italia, delle procure è la longa manus. Uomini della Procura che nell’inerzia quarantennale ha deciso di essere deus ex machina senza controllo alcuno e di decidere, da uomini soli, per un’intera nazione.
A proposito degli ambientalisti sprono della magistratura. Il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli, e il presidente di Peacelink Taranto, Alessandro Marescotti hanno fornito i dati dello studio del progetto “Sentieri”. Nel periodo 2003-2008 a Taranto è stato rilevato un aumento del 24% dei tumori del fegato e dei polmoni, del 38% per i linfomi e del 38% per i mesoteliomi. Bonelli e Marescotti hanno dichiarato “Il dato veramente preoccupante è quello dei bambini, per i quali si registra un +35% di decessi sotto un anno di età e per tutte le cause. Per quanto riguarda le morti nel periodo perinatale +71%. Questi sono i dati dell’aggiornamento che il ministro Balduzzi non ha voluto comunicare perché diceva che erano in fase di elaborazione. E’ falso perché questi dati sono stati elaborati, stampati e comunicati alla procura della Repubblica il 30 marzo di quest’anno”. Corrado Clini sostiene che questi dati siano falsi. Per questo motivo ha dato mandato all’avvocatura dello Stato di procedere nei confronti di Bonelli, che ha ripetutamente accusato il ministro dell’Ambiente di nascondere i dati sulla mortalità e di fornire informazioni false sullo stato della salute degli abitanti di Taranto. Clini ha detto “Fra l’altro mi preoccupa la diffusione di notizie false che generano allarme tra la popolazione e mirano a intimidire le autorità competenti in materia di protezione ambiente e tutele della salute”.
Certo è che l’annunciata chiusura dell’Ilva di Taranto potrebbe rappresentare uno dei più grandi disastri industriali e sociali del nostro Paese degli ultimi anni, così come il suo funzionamento sembrerebbe esserlo stato per le condizioni di salute della città. E’ questa la considerazione che viene più spontaneo fare di fronte ai numeri sconvolgenti che lo stop degli altoforni di Taranto potranno portarsi come conseguenza più immediata. D’altronde stiamo parlando di un’azienda che rappresenta il 20esimo gruppo siderurgico del mondo, e dunque non è difficile immaginare l’impatto che ci sia sull’economia nazionale, sia in termini occupazionali che finanziari. E cominciamo allora proprio da qui, dal mettere in fila le prime drammatiche cifre sugli effetti umani e sociali di una sempre più probabile serrata dell’Ilva. Nella sola zona di Taranto andrebbero in fumo circa 12mila posti di lavoro, che rappresentano gli addetti diretti allo stabilimento, cifra che sale però a quota 20mila se si considera l’indotto. Quello di Taranto infatti rappresenta il più grande sito produttivo siderurgico d’Europa e allo stesso tempo lo stabilimento industriale con più addetti in Italia. Un particolare non da poco se si pensa che sorge in un contesto cittadino dove recenti statistiche parlano di un tasso di disoccupazione che viaggia intorno al 30%. In pratica chiudere l’Ilva potrebbe significare mettere in ginocchio l’economia di Taranto e a cascata di altre zone della Provincia e della Regione Puglia, visto che dei citati 12mila addetti diretti, solo 4mila sono tarantini, mentre gli altri vengono da fuori. Ma le conseguenze negative non finiscono qui sul fronte occupazionale, perché lo stop di Taranto si porta come conseguenza il blocco della produzione anche del sito Ilva di Genova, dove altri 1.760 dipendenti sono in agitazione perché vedono a rischio il proprio posto di lavoro. E il fatto che la chiusura dello stabilimento di Taranto si porti dietro conseguenze occupazionali così pesanti, si lega, come accennato, al rilievo che la sua produzione di acciaio riveste per l’intera economia italiana. Secondo i dati forniti dalla Confindustria pugliese infatti, la capacità produttiva di circa 10 milioni di tonnellate l’anno di acciaio che arrivano da Taranto, rappresentano circa il 40% del fabbisogno nazionale. Se l’Italia dovesse essere costretta a importare quantità di questo rilievo, andrebbe incontro ad una spesa del valore di circa 9 miliardi di euro. Una cifra che rappresenta circa un punto di Pil nazionale, e il 7-8% del Pil regionale pugliese. Un vero e proprio disastro economico dunque per il nostro Paese, che rischia, come accennato, di sfociare in dramma sociale a Taranto, dove monta la rabbia degli operai rimasti senza lavoro dalla sera alla mattina.
Ma chi vive sulle spalle degli altri con la busta paga pubblica degli operai se ne fotte (l’intercalare spiega bene l’idea).
Gli operai, talebani anche loro. Pronti a marciare su Taranto o a bloccare la circolazione dei veicoli, usando violenza sui malcapitati che si son trovati a passar dalle loro parti. Spintoni o gomme tagliate per chi non solidarizza con loro. L’esasperazione dirà qualcuno. In Italia, infatti, lavorano solo 23 milioni di persone e il nostro è il paese europeo col minor tasso di occupazione. In compenso, come è noto, abbiamo 16 milioni di pensionati oltre a un bel po’ di disoccupati e un sacco di altra gente che il lavoro manco lo cerca. E’ emergenza disoccupazione. Secondo le ultime stime provvisorie dell’Istat il tasso generale si è attestato all’11,1%. Per questo quando si dice che l’Italia lavora, non è vero. L’Italia non lavora e se ne fotte degli altri, ma il punto è che non vota sfiduciata da questa politica. Mai così tanti disoccupati, mai così tanti non votanti. C’è difetto di rappresentanza e la contrapposizione tra interessi è l’effetto.
Per questo motivo, nel venire incontro a tutti gli interessi in campo il decreto legge varato dal Consiglio dei ministri “stabilisce che la società Ilva abbia la gestione e la responsabilità della conduzione degli impianti e che sia autorizzata a proseguire la produzione e la vendita per tutto il periodo di validità dell’Aia”. Il rilascio a ottobre 2012 da parte del Ministero dell’Ambiente dell’autorizzazione integrata ambientale ha anticipato gli obiettivi fissati dall’Unione europea in materia di BAT – best available technologies (tecnologie più efficienti per raggiungere obiettivi di compatibilità ambientale della produzione) di circa 4 anni. Con il provvedimento – spiega il comunicato di Palazzo Chigi – all’Aia è stato conferito lo status di legge, che obbliga l’azienda al rispetto inderogabile delle procedure e dei tempi del risanamento. Qualora non venga rispettato il piano di investimenti necessari alle operazioni di risanamento, il decreto introduce un meccanismo sanzionatorio che si aggiunge al sistema di controllo già previsto dall’Aia. “I provvedimenti di sequestro e confisca dell’autorità giudiziaria – spiega ancora il comunicato stampa – non impediscono all’azienda di procedere agli adempimenti ambientali e alla produzione e vendita secondo i termini dell’autorizzazione”. “L’Ilva – spiega il comunicato stampa – è tenuta a rispettare pienamente le prescrizioni dell’autorizzazione ambientale”. Palazzo Chigi definisce il decreto legge “un cambio di passo importante verso la soluzione delle problematiche ambientali, il rispetto del diritto alla salute dei lavoratori e delle comunità locali interessate, e la tutela dell’occupazione”. “In questo modo – prosegue la nota – vengono inoltre perseguite in maniera inderogabile le finalità espresse dai provvedimenti assunti dall’autorità giudiziaria”.
Il Cdm stabilisce che la società “abbia la gestione e la responsabilità della conduzione degli impianti e che sia autorizzata a proseguire la produzione e la vendita per tutto il periodo di validità dell’Aia (sei anni). L’Ilva è tenuta a rispettare pienamente le prescrizioni. Le bozze del decreto sono state continuamente limate e ritoccate nel corso del Consiglio. Importante era evitare lo scontro frontale con la magistratura. Confermata, l’introduzione di una ‘figura di garanzia’, una ‘figura terza’ che possa dare fiducia a tutte le parti coinvolte: non un commissario ma un ‘garante’ che vigili sull’applicazione rigorosa ed efficace delle prescrizioni Aia. “Il garante – ha spiegato il sottosegretario Antonio Catricalà – deve essere persona di indiscussa indipendenza, competenza ed esperienza e sarà proposto dal ministro dell’Ambiente, dal ministro dell’Attività Produttive, e della Salute e sarà nominato dal presidente della Repubblica”. Il Garante acquisirà dall’azienda, dalle amministrazioni e dagli enti interessati le informazioni e gli atti ritenuti necessari, segnalando al presidente del Consiglio e al ministro dell’Ambiente le eventuali criticità riscontrate nell’attuazione delle disposizioni e potrà proporre le misure idonee, tra le quali anche provvedimenti di amministrazione straordinaria. “Qualora non venga rispettato il piano di investimenti necessari alle operazioni di risanamento, il decreto introduce un meccanismo sanzionatorio che si aggiunge al sistema di controllo già previsto dall’Aia”, si legge nella nota di Palazzo Chigi. In caso di inadempienze per l’Ilva – ha spiegato a questo proposito il ministro dell’Ambiente Corrado Clini – “restano tutte le sanzioni già previste e in più introdotta la possibilità di una sanzione sino al 10% del fatturato annuo dello stabilimento”. Non solo. “Abbiamo introdotto interventi possibili sulla proprietà stessa – ha aggiunto il ministro dello Sviluppo Corrado Passera – che potrebbero togliere enorme valore a quella proprietà: se non fa quello che la legge prevede, vede il suo valore fino al punto di perderne il controllo di fronte a comportamenti non coerenti. E’ possibile che variamo la procedura di amministrazione controllata. Insomma, se non si fanno gli investimenti e gli adempimenti di legge, viene messo qualcun altro a farlo”. “Non possiamo ammettere – ha detto Monti in conferenza stampa – che ci siano contrapposizioni drammatiche tra salute e lavoro, tra ambiente e lavoro e non è neppure ammissibile che l’Italia possa dare di sé un’immagine, in un sito produttivo così importante, di incoerenza. L’intervento del governo è stato necessario perchè Taranto è un asset strategico regionale e nazionale”, ha aggiunto. “Questo caso è la plastica dimostrazione per il passato degli errori reiterati nel tempo e delle incoerenze di molte realtà, sia imprenditoriali che pubblico-amministrative, che si sono sottratte, nel corso del tempo, alla regola della responsabilità, dell’applicazione e del rispetto della legge”. La strada del decreto è stata intrapresa per evitare – aveva spiegato Monti – “un impatto negativo sull’economia stimato in otto miliardi di euro annui”. Il provvedimento salva i 12mila dipendenti di Taranto e i lavoratori dell’indotto pugliese. Ma anche Genova, Novi Ligure, Racconigi. La possibilità di togliere l’azienda alla proprietà era stata prospettata anche da Clini intervenuto a Servizio Pubblico: aveva fatto intendere che il governo sarebbe stato pronto a prendere in mano la situazione nel caso in cui la famiglia Riva non voglia o non possa far fronte alle prescrizioni. “Sappiamo – aveva spiegato – che per essere risanato quel sito deve continuare ad essere gestito industrialmente. I Riva hanno detto che sono ponti a farlo. Il piano degli interventi prevede parchi minerari, altoforni, batterie delle cokerie. Se non fai questo, è la nostra posizione, non puoi continuare a gestire gli impianti. Se non sono in grado dobbiamo farci carico noi con un intervento che consenta di garantire la continuità produttiva ed il risanamento”.
Questo è il potere esecutivo, il cui operato sarà convalidato dal potere legislativo. I magistrati, però hanno una loro ben definita contrapposizione: «Prendiamo atto che il governo, di fronte ad una situazione complessa e con gravi ripercussioni occupazionali, si è assunto la grave responsabilità di vanificare le finalità preventive dei provvedimenti di sequestro emessi dalla magistratura e volti a salvaguardare la salute di una intera collettività dal pericolo attuale e concreto di gravi danni», dice il segretario dell’Associazione magistrati (Anm), Maurizio Carbone, proprio a Taranto sostituto procuratore. Per Carbone «resta tutta da verificare la effettiva disponibilità dell’azienda ad investire i capitali necessari per mettere a norma l’impianto e ad adempiere alle prescrizioni contenute nell’Aia», tenuto conto che «sino ad ora la proprietà ha dimostrato di volersi sottrarre all’esecuzione di ogni provvedimento emesso dalla magistratura». Ed ancora non ha lesinato critiche al provvedimento d’urgenza di Palazzo Chigi: «È un’invasione di campo, dov’è finito il principio della separazione dei poteri? Il decreto legge vanifica di colpo tutti gli effetti dei provvedimenti presi dai magistrati per la tutela della salute dei cittadini. Il governo, così facendo, si è preso una grossa responsabilità».
Per il gip di Taranto Patrizia Todisco la nuova Aia per l’Ilva «non si preoccupa affatto della attualità del pericolo e della attualità delle gravi conseguenze dannose per la salute e l’ambiente». L’attività produttiva dell’Ilva è «tuttora, allo stato attuale degli impianti e delle aree in sequestro, altamente pericolosa». I tempi di realizzazione della nuova Aia sono «incompatibili con le improcrastinabili esigenze di tutela della salute della popolazione locale e dei lavoratori del Siderurgico», scrive il gip. Tutela che «non può essere sospesa senza incorrere in una inammissibile violazione dei principi costituzionali» (articoli 32 e 41). Come è possibile, sulla base di quanto emerso dalle indagini, «autorizzare comunque l’Ilva alle attuali condizioni e nell’attuale stato degli impianti in sequestro, a continuare da subito l’attività produttiva», senza «prima pretendere» gli interventi di risanamento? aggiunge il gip dicendo no al dissequestro degli impianti.
La partita con l’Ilva non è finita, «abbiamo ancora qualche cartuccia da sparare», sorride amaro il procuratore capo di Taranto, Franco Sebastio, che proprio non ci sta a passare per «il talebano», così come viene definito sui giornali, «il pazzo nemico di 20 mila operai», «se solo avessi cinque minuti per un caffè con il presidente Napolitano e con Mario Monti racconterei loro dei bambini che qui nascono già malati di tumore…», si sfoga il vecchio magistrato. La Procura solleva eccezioni di incostituzionalità del decreto legge di Palazzo Chigi, chiedendo l’intervento della Corte Costituzionale. Il diritto all’eguaglianza, ad esempio: la legge è uguale per tutti, no? Ma se la legge è nata per l’Ilva, dove finiscono i principi di astrattezza e generalità?
Intanto, oltre al sindaco di Taranto, alcuni preti della città, alcuni giornalisti tarantini, alcuni parlamentari locali, l’inchiesta coinvolge anche la provincia. Così come per il delitto di Avetrana: nel dubbio, tutti dentro, avvocati compresi. L’inchiesta afferra il Presidente della provincia di Taranto, Gianni Florido, un passato importante da sindacalista quale ex segretario regionale della Cisl e un presente da dirigente locale del Pd. Un’informativa di 182 pagine in parte mutilata da omissis e allegata all’ordinanza di custodia cautelare che aveva già bussato al palazzo della Provincia, relegando agli arresti domiciliari l’ex assessore all’ambiente Michele Conserva, lo fulmina in poche righe. “Si evidenzia – scrivono i militari della Finanza – che alla luce di quanto accertato, vanno ascritte al dottor Gianni Florido, Presidente della Provincia di Taranto, specifiche responsabilità penali per il delitto di concussione o, in subordine, di violenza privata”.
Certo è che qualcuno dovrebbe spiegare ai magistrati, che si lamentano quando la legge si stila senza la loro dettatura, che non vi è scontro tra poteri, proprio perché la magistratura non è un potere.
Se l’articolo 1 della Costituzione detta che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, ne consegue che Potere è quello Legislativo che legifera in modo ordinario e quello Esecutivo che legifera in modo straordinario. La Costituzione all’art. 104 afferma che “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.”
Ne conviene che il dettato vuol significare non equiparare la Magistratura ad altro potere, ma differenziarne l’Ordine con il Potere che spetta al popolo. Ordine costituzionalizzato, sì, non Potere.
Ordine, non potere, come invece il più delle volte si scrive, probabilmente ricordando Montesquieu; il quale però aggiungeva che il potere giudiziario é “per così dire invisibile e nullo”. Solo il popolo è depositario della sovranità: per questo Togliatti alla Costituente avrebbe voluto addirittura che i magistrati fossero eletti dal popolo, per questo sostenne le giurie popolari. Ordine o potere che sia, in ogni caso è chiaro che di magistrati si parla. Per gli effetti l’art. 101 dichiara che “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge.”
Ergo: i magistrati devono applicare la legge, rispettarla e farla rispettare, non formarla, né criticarla. Non devono sentirsi portatori di una missione non loro. E nessuna risonanza mediatica può essere ammessa, in special modo quando vi sono interessi più grandi che quelli castali. E si deve ricordar loro, ai magistrati ed alla clache che li santifica, che c’è anche quella legge ambientale che prevede il dogma “chi inquina paga”. Non esiste il dettato tutto di stampo tarantino: “chi inquina, chiude i battenti e tutti a casa”, specialmente se l’industria che viene chiusa, con le tasse che paga, mantiene i suoi detrattori.»
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
http://www.controtuttelemafie.it e http://www.telewebitalia.eu
099.9708396 – 328.9163996

Politica, giustizia ed informazione. In tempo di voto si palesa l’Italietta delle verginelle.

Da scrittore navigato, il cui sacco di 40 libri scritti sull’Italiopoli degli italioti lo sta a dimostrare, mi viene un rigurgito di vomito nel seguire tutto quanto viene detto da scatenate sgualdrine (in senso politico) di ogni schieramento politico. Sgualdrine che si atteggiano a verginelle e si presentano come aspiranti salvatori della patria in stampo elettorale.
In Italia dove non c’è libertà di stampa e vige la magistratocrazia è facile apparire verginelle sol perché si indossa l’abito bianco.
I nuovi politici non si presentano come preparati a risolvere i problemi, meglio se liberi da pressioni castali, ma si propongono, a chi non li conosce bene, solo per le loro presunti virtù, come verginelle illibate.
Ci si atteggia a migliore dell’altro in una Italia dove il migliore c’ha la rogna.
L’Italietta è incurante del fatto che Nicola Vendola a Bari sia stato assolto in modo legittimo dall’amica della sorella o Luigi De Magistris sia stato assolto a Salerno in modo legale dalla cognata di Michele Santoro, suo sponsor politico.
L’Italietta non si scandalizza del fatto che sui Tribunali e nella scuole si spenda il nome e l’effige di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino da parte di chi, loro colleghi, li hanno traditi in vita, causandone la morte.
L’Italietta non si sconvolge del fatto che spesso gli incriminati risultano innocenti e ciononostante il 40% dei detenuti è in attesa di giudizio. E per questo gli avvocati in Parlamento, anziché emanar norme, scioperano nei tribunali, annacquando ancor di più la lungaggine dei processi.
L’Italietta che su giornali e tv foraggiate dallo Stato viene accusata da politici corrotti di essere evasore fiscale, nonostante sia spremuta come un limone senza ricevere niente in cambio.
L’Italietta, malgrado ciò, riesce ancora a discernere le vergini dalle sgualdrine, sotto l’influenza mediatica-giudiziaria.
Fa niente se proprio tutta la stampa ignava tace le ritorsioni per non aver taciuto le nefandezze dei magistrati, che loro sì decidono chi candidare al Parlamento per mantenere e tutelare i loro privilegi.
Da ultimo è la perquisizione ricevuta in casa dall’inviato de “La Repubblica”, o quella ricevuta dalla redazione del tg di Telenorba.
Il re è nudo: c’è qualcuno che lo dice. E’ la testimonianza di Carlo Vulpio sull’integrità morale di Nicola Vendola, detto Niki. L’Editto bulgaro e l’Editto di Roma (o di Bari). Il primo è un racconto che dura da anni. Del secondo invece non si deve parlare.
I giornalisti della tv e stampa, sia quotidiana, sia periodica, da sempre sono tacciati di faziosità e mediocrità. Si dice che siano prezzolati e manipolati dal potere e che esprimano solo opinioni personali, non raccontando i fatti. La verità è che sono solo codardi.
E cosa c’è altro da pensare. In una Italia, laddove alcuni magistrati tacitano con violenza le contro voci. L’Italia dei gattopardi e dell’ipocrisia. L’Italia dell’illegalità e dell’utopia.
Tutti hanno taciuto “Le mani nel cassetto. (e talvolta anche addosso…). I giornalisti perquisiti raccontano”. Il libro, introdotto dal presidente nazionale dell’Ordine Enzo Jacopino, contiene le testimonianze, delicate e a volte ironiche, di ventuno giornalisti italiani, alcuni dei quali noti al grande pubblico, che hanno subito perquisizioni personali o ambientali, in casa o in redazione, nei computer e nelle agende, nei libri e nei dischetti cd o nelle chiavette usb, nella biancheria e nel frigorifero, “con il dichiarato scopo di scoprire la fonte confidenziale di una notizia: vera, ma, secondo il magistrato, non divulgabile”. Nel 99,9% dei casi le perquisizioni non hanno portato “ad alcun rinvenimento significativo”.
Cosa pensare se si è sgualdrina o verginella a secondo dell’umore mediatico. Tutti gli ipocriti si facciano avanti nel sentirsi offesi, ma che fiducia nell’informazione possiamo avere se questa è terrorizzata dalle querele sporte dai PM e poi giudicate dai loro colleghi Giudici.
Alla luce di quanto detto, è da considerare candidabile dai puritani nostrani il buon “pregiudicato” Alessandro Sallusti che ha la sol colpa di essere uno dei pochi coraggiosi a dire la verità?
Si badi che a ricever querela basta recensire il libro dell’Ordine Nazionale dei giornalisti, che racconta gli abusi ricevuti dal giornalista che scrive la verità, proprio per denunciare l’arma intimidatoria delle perquisizioni alla stampa.
Che giornalisti sono coloro che, non solo non raccontano la verità, ma tacciono anche tutto ciò che succede a loro?
E cosa ci si aspetta da questa informazione dove essa stessa è stata visitata nella loro sede istituzionale dalla polizia giudiziaria che ha voluto delle copie del volume e i dati identificativi di alcune persone, compreso il presidente che dell’Ordine è il rappresentante legale?
Allora io ho deciso: al posto di chi si atteggia a verginella io voterei sempre un “pregiudicato” come Alessandro Sallusti, non invece chi incapace, invidioso e cattivo si mette l’abito bianco per apparir pulito.
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
http://www.controtuttelemafie.it e http://www.telewebitalia.eu
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RADIO PADANIA, RADIO VERGOGNA.

Radio Padania. Radio Vergogna. Scandali e le mani della giustizia sulla Lega Padania. Come tutti. Più di tutti. I leghisti continuano a parlare, anziché mettersi una maschera in faccia per la vergogna. “Ecco a voi i leghisti: violenti, voraci, arraffoni, illiberali, furbacchioni, aspiranti colonizzatori. Non (ri)conoscono la Costituzione Italiana e la violano con disprezzo”. Molti di loro, oltretutto, sono dei meridionali rinnegati. Terroni e polentoni: una litania che stanca. Terrone come ignorante e cafone. Polentone come mangia polenta o, come dicono da quelle parti, po’ lentone: ossia lento di comprendonio. Comunque bisognerebbe premiare per la pazienza il gestore della pagina Facebook “Le perle di Radio Padania”, ovvero quelli che per fornire una “Raccolta di frasi, aforismi e perle di saggezza dispensate quotidianamente dall’emittente radiofonica “Radio Padania Libera” sono costretti a sentirsela tutto il giorno. In attesa del giusto premio, ecco una gallery delle ultime dieci perle pubblicate sulla radio comunitaria che prende soldi pubblici per insultare i meridionali. Dopo il tentativo di “invadere” Alessano, in provincia di Lecce, Radio Padania ci riprova con Brindisi, dove sembra che l’emittente radiofonica della Lega abbia “occupato” le frequenze di Idea Radio. L’allarme è lanciato proprio dal legale rappresentante di Idea Radio, Tommaso D’Angeli. «Radio Padania sbarca e colonizza quella che ancora risulta essere la provincia di Brindisi, occupando e fortemente disturbando le trasmissioni di Idea Radio nel comune di Brindisi sulla frequenza dei 97.800 Mhz. Per l’ennesima volta Radio Padania attiva un impianto nel Salento per le proprie trasmissioni». D’Angeli spiega che «questa volta l’emissione parte dal comune di Villa Castelli, noto per la grande concentrazione di impianti radiotelevisivi e di telefonia». L’emittente della Lega Nord, osservano ancora da Idea Radio, «trasmette in qualità di radio comunitaria nazionale, che le permette, in virtù di un decreto legge creato dal governo Berlusconi, di attivare impianti su tutto il territorio nazionale senza acquistarli, ma semplicemente comunicandone l’attivazione al competente ministero dello Sviluppo Economico». Unica prerogativa, spiegano, è di non interferire con altre emittenti. Una prerogativa che sembra sia stata però disattesa.
La protesta dell’emittente brindisina è partita, indirizzata sia al sindaco di Villa Castelli che al direttore dei Servizi territoriali di Arpa Puglia. In attesa di sviluppi, i brindisini potranno ascoltare Radio Padania tranquillamente seduti in poltrona. Così facendo disturba le frequenze di Idea Radio, che prende posizione pubblicamente attraverso questo comunicato del legale rappresentante di Idea Radio, Tommaso D’Angeli. «Mentre si discute sul riordino delle province, se appartenere a Lecce, Taranto o Bari, mentre si discute se realizzare un’unica macro provincia o la Regione Salento, il partito di Bossi, dalla Padania per mezzo della sua espressione più diretta “RADIO PADANIA” sbarca e colonizza quella che ancora risulta essere la provincia di Brindisi, occupando e fortemente disturbando le trasmissioni di Idea Radio nel comune di Brindisi sulla frequenza dei 97.800 Mhz. Per l’ennesima volta Radio Padania attiva un impianto nel Salento per le proprie trasmissioni.
Questa volta l’emissione parte dal Comune di Villa Castelli, noto per la grande concentrazione di impianti radiotelevisivi, di telefonia e di altri soggetti, anche militari, già in passato oggetto di proteste da parte della città per la difesa ambientale e della popolazione soggetta alle emissioni elettromagnetiche. Radio Padania trasmette in qualità di Radio Comunitaria Nazionale che le permette in virtù di un Decreto Legge creato dal governo Berlusconi di attivare impianti su tutto il territorio nazionale senza acquistarli, ma semplicemente comunicandone l’attivazione al competente Ministero dello Sviluppo Economico-Comunicazioni. Unica prerogativa concessa è quella di non interferire con altri legittimi utilizzatori dello spettro radioelettrico. E così sorgono i problemi per le emittenti interferite, le quali dovranno, con notevole aggravio di spese, documentare con campagne di misure radioelettriche e perizie, le interferenze subite nell’ascolto delle proprie trasmissioni. Idea radio si è già attivata presso il competente Ministero dello Sviluppo Economico-Comunicazioni per tutelare le proprie trasmissioni. Al contempo con la presente si invitano il Sindaco di Villa Castelli e l’Arpa Puglia sezione di Brindisi a voler verificare se Radio Padania abbia mai inoltrato istanza ai sensi di quanto disposto dal D.L. n.259/03, L.R. 05/92 e dal R.R. 14/06, per l’installazione delle antenne e dell’impianto nel comune di Villa Castelli, diversamente si prega di intervenire con urgenza secondo la propria autorità per la rimozione dell’impianto».
“Radio Padania, colonizzatori per interesse”. E’ questo quello che i brindisini potranno ascoltare… e sì, perchè Radio Padania ci riprova a colonizzare il Salento, questa volta attraverso l’installazione di un’antenna a Villa Castelli, un po’ più a nord. Ci avevano già provato, ricorderete, partendo da Alessano. Ed anche in quell’occasione si scatenarono le proteste contro l’occupazione abusiva delle frequenze e, soprattutto, contro gli insulti ai meridionali nei quali potrebbero imbattersi i brindisini che si troveranno ad ascoltare l’emittente radiofonica che fa capo al partito politico fondato dal Senatùr Umberto Bossi. La scoperta è avvenuta quando una radio locale, Radio Idea, ha notato delle interferenze sulle frequenze, da lì all’infelice scoperta il passo è stato breve. Ed, ovviamente, Radio Idea si è già attivata per tutelare i propri spazi seguendo l’iter indicato dalla legge, ma ora l’appello è al territorio ed alle sue istituzioni anche perchè, molto probabilmente, e su questo in molti si troveranno d’accordo, il discorso è più economico che politico. Immediatamente si è scagliato contro quest’ennesimo tentativo di colonizzare il Salento, il Presidente del Movimento Regione Salento Paolo Pagliaro “Basta con questo sopruso! Radio Padania spenga l’impianto e rispetti questa terra!”. La sua opinione trasmessa e pubblicata sulla sua emittente “Tele Rama” e su youtube. «Ecco a voi i leghisti: violenti, voraci, arraffoni, illiberali, furbacchioni, aspiranti colonizzatori. Non (ri)conoscono la Costituzione Italiana e la violano con disprezzo. Violenti, perché hanno ottenuto grazie alla gestione del potere con una legge ‘ad personam’ del Governo Berlusconi a trazione leghista, l’opportunità di un sopruso-abuso: accendono la frequenza che desiderano e questa diventa di loro proprietà se ‘non disturba’ e se entro 90 giorno non vi sono reclami. Voraci ed arraffoni, perché intendono invadere un mercato scavalcandone le regole. Illiberali, perché i contenuti di questa Radio Padania sono volgarmente e qualunquisticamente anti-meridionali, perdendo così l’occasione del confronto positivo e costruttivo. Sono furbacchioni perché, in qualche caso, pare che abbiano acquisito gratuitamente le frequenze (con le complicità romane) per poi rivenderle ai privati.
Solidarietà a Idea Radio, basta con questi soprusi!».
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
http://www.controtuttelemafie.it e http://www.telewebitalia.eu
099.9708396 – 328.9163996

DALL’ACCESSO A NUMERO CHIUSO ALLE UNIVERSITA’ FINO ALLE LISTE D’ATTESA. IL RACKET DEI BARONI DELLA MEDICINA.

Pochi medici si spartiscono la torta della sanità. Impediscono l’accesso alla professione, limitando la concorrenza, e svolgono il doppio lavoro: pubblico e privato. Il lavoro presso gli ospedali a disposizione del lavoro presso lo studio privato. Intanto le liste d’attesa ingrossano, come le loro tasche: vuoi far prima? Paga……Ed in Parlamento ognuno tutela la propria lobby.
Perché nessuno ha il coraggio di dire veramente come stanno le cose. Basta leggere il libro del dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” http://www.controtuttelemafie.it, e scrittore-editore dissidente che proprio sul tema ha scritto e pubblicato “CONCORSOPOLI”. Libro facente parte della collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata sui propri siti web, su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo. Uno tra i 40 libri scritti dallo stesso autore e pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare.
Per esercitare le funzioni dello Stato, anche se sono truccati, i concorsi pubblici stabiliscono già il numero chiuso per l’accesso alla funzione.
Per quanto riguarda l’esercizio delle professioni, i concorsi pubblici non prevedono il numero chiuso, anche perché la Costituzione non lo prevede, ma tant’è i criminali impuniti (per abuso d’ufficio, falso, associazione a delinquere, concussione e corruzione, ecc.) stabiliscono da sé ed a loro vantaggio un limite invalicabile di numero di idonei. Questo numero, sempre e comunque, riconducibile a principi familistici od amicali.
Per limitare la concorrenza tutti gli Ordini professionali (di stampo ed origine fascista, con il bene placido di destra e sinistra) adottano sistemi di limitazione della concorrenza, ledendo il libero mercato e ledendo il diritto dei cittadini impedendo l’accesso meritocratico.
Gli avvocati, ed altri Ordini, intervengono durante i concorsi pubblici di abilitazione, stabilendo impunemente un limite di abilitazione che non supera mai il 20-30% dei candidati e con giudizi arbitrari, in quanto le prove non sono sottoposte a correzione, così come, d’altronde, succede per il concorso dei magistrati.
Altre professioni, tra cui l’Ordine dei medici, interviene direttamente sui bandi di accesso ai corsi dell’università, stabilendo un risibile numero chiuso ed oltretutto con criticabili test d’accesso, che nulla hanno a che fare con la professione da svolgere. Viene il voltastomaco, non tanto per gli abusi che si commettono, ma come la massa non si renda conto che continua a votare in Parlamento persone che sono impegnati a perpetrare una ignominia contro il popolo e solo a vantaggio della loro casta o lobbies.
Forse alcuni non lo considerano un problema politico o di interesse generale di cui occuparsi, invece lo è. Se non altro perché va a toccare la nostra pelle, cui tutti teniamo in maniera particolare. Per questo motivo la questione del numero chiuso a medicina deve interessare tutti. Si tratta di uno sbarramento assurdo e dannoso che va abolito al più presto. Esso dovrebbe “selezionare” gli studenti più adatti a fare il medico chirurgo. Ma i test che dovrebbero avere questa funzione sono un’accozzaglia di domande strampalate che a tutto possono servire, meno che a selezionare chi ha attitudine o meno a fare il medico. E non ci si venga a parlare di esigenze didattiche. Almeno per i primi tre anni si tratta per lo più di andare a lezione. La pratica al letto del malato viene successivamente. E poi, oltre ai policlinici universitari ci sono un sacco di ospedali dove gli studenti possono andare a imparare. E poi il vero problema sono le scuole di specializzazione. Infatti, su 11 mila studenti che hanno superato i test questo anno e inizieranno il percorso di studi in Medicina riusciranno a laurearsi, fra sei anni, 8.500/9 mila studenti (l’80% degli iscritti si laurea infatti entro il primo anno fuori corso). I posti disponibili per le scuole di specializzazione sono invece 5 mila e quelli per medicina generale circa mille. Sono destinati a restare così senza un’occupazione qualificata 3 mila nuovi medici. Ne consegue che pochi medici si spartiscono la torta della sanità.
Le “liste di attesa” sono il più grave degli scandali tollerati. È il sistema “intramoenia” che degenera in abusi ormai risaputi e rende privata la struttura pubblica. Occorrono mesi per una visita, un esame o un intervento. Bastano ore o giorni, se si paga. «C’è un sistema per far presto, accetta?» solita domanda. È il sistema “intramoenia” che degenera in abusi ormai risaputi, che rende privata la sanità pubblica, che favorisce i malati ricchi sui malati poveri. Come mai qualche medico ha poco tempo per chi è in lista, ma tanto per chi stacca l’assegno? La crisi della sanità pubblica nasce con lo scandalo del doppio lavoro dei medici. Perché la sanità italiana è così negativa nonostante i costi sopportati dalla collettività? Una spiegazione c’è. I medici sono i soli dipendenti pubblici in Italia autorizzati a fare il doppio lavoro. Ci sarebbe in realtà il divieto generale, per tutti quanti, sancito dal vecchio regolamento del 1957, ma a furia di deroghe con le contrattazioni pubbliche, la casta dei medici tramite il proprio sindacato di categoria ha ottenuto il privilegio di poter tenere il piede in due scarpe. Il doppio lavoro legalizzato porta illustri nomignoli latini: intramoenia ed extramoenia. Con la prima, il medico ospedaliero può usare la struttura pubblica a proprio comodo per visite private a pagamento. Con la seconda, il medico pubblico può direttamente lavorare in privato, in cliniche o studi (che paradossalmente potrebbero lavorare in convenzione con l’ospedale per il quale lavora in pubblico!), teoricamente fuori dall’orario del servizio pubblico. Così i medici lavorano a cottimo, senza sosta, nel pubblico a raccogliere i frutti di ciò che hanno seminato con le lucrose visite private. Il paziente pagante viene ricevuto con cortesia e dignità per l’intervento nella struttura pubblica, naturalmente dopo la visitina privata di prassi, e con la benedizione del medico viene operato con impegno e dedizione. A questo punto per accedere alla professione medica ogni sistema è buono, anche quello truffaldino dei test d’accesso. Ma il fatto è che si persegue penalmente sempre e solo i poveri cristi e non i mafiosi fautori del sistema criminale per l’accesso alla professione.

PER UNA LETTURA UTILE E CONSAPEVOLE CONTRO L’ITALIA DEI GATTOPARDI.

Recensione di un’opera editoriale osteggiata dalla destra e dalla sinistra. Perle di saggezza destinate al porcilaio.
I giornalisti della tv e stampa, sia quotidiana, sia periodica, da sempre sono tacciati di faziosità e mediocrità. Si dice che siano prezzolati e manipolati dal potere e che esprimano solo opinioni personali, non raccontando i fatti. Lo dice Beppe Grillo e forse ha ragione. Ma tra di loro vi sono anche eccellenze di gran valore. Questo vale per le maggiori testate progressiste (Il Corriere della Sera, L’Espresso, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano), ma anche per le testate liberali (Panorama, Oggi, Il Giornale, Libero Quotidiano). In una Italia, laddove alcuni magistrati tacitano con violenza le contro voci, questi eccelsi giornalisti, attraverso le loro coraggiose inchieste, sono fonte di prova incontestabile per raccontare l’Italia vera, ma sconosciuta. L’Italia dei gattopardi e dell’ipocrisia. L’Italia dell’illegalità e dell’utopia. Tramite loro, citando gli stessi e le loro inchieste scottanti, Antonio Giangrande ha raccolto in venti anni tutto quanto era utile per dimostrare che la mafia vien dall’alto. Pochi lupi e tante pecore. Una selezione di nomi e fatti articolati per argomento e per territorio. L’intento di Giangrande è rappresentare la realtà contemporanea, rapportandola al passato e proiettandola al futuro. Per non reiterare vecchi errori. Perché la massa dimentica o non conosce. Questa è sociologia storica, di cui il Giangrande è il massimo cultore. Questa è la collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata su http://www.controtuttelemafie.it ed altri canali web, su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo. 40 libri scritti da Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” e scrittore-editore dissidente. Saggi pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare loro la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare. In occasione delle festività ed in concomitanza con le nuove elezioni legislative sarebbe cosa buona e utile presentare ai lettori una lettura alternativa che possa rendere più consapevole l’opinione dei cittadini. Un’idea regalo gratuita o con modica spesa, sicuramente gradita da chi la riceve. Non è pubblicità gratuita che si cerca per fini economici, né tanto meno è concorrenza sleale. Si chiede solo di divulgare la conoscenza di opere che già sul web sono conosciutissime e che possono anche esser lette gratuitamente. Evento editoriale esclusivo ed aggiornato periodicamente. Di sicuro interesse generale. Fa niente se dietro non ci sono grandi o piccoli gruppi editoriali. Ciò è garanzia di libertà.
Grazie per l’adesione e la partecipazione oltre che per la solidarietà.
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
http://www.controtuttelemafie.it e http://www.telewebitalia.eu
099.9708396 – 328.9163996

PORTA IL NIPOTE IN CAMPAGNA: MULTATO!!!

«In una nazione dove tutto va a catafascio, o come dicono alcuni a scatafascio, ossia alla deriva morale e materiale, il sistema di parassiti le pensa tutte per potersi mantenere vessando in tutti modi i cittadini, sudditi di una classe dirigente (politica ed istituzionale) corrotta ed incapace. Classe dirigente che con i media genuflessi alle cricche induce il paese ad essere governato da nani, ballerine ed oggi anche da comici. Questo da aggiungersi al sistema di potere cristallizzato di mafie, lobbies, caste e massonerie. Si sorvola sul fatto che a riformare l’ordinamento forense ci sono gli stessi avvocati in Parlamento a tutela dei loro privilegi ed a chiusura della concorrenza (salvo che per amici e parenti), i medesimi che, oltretutto, sono periodicamente in sciopero per le riforme da loro stessi predisposte. Ma passiamo oltre. In una Italia dove si sottace l’usura e l’estorsione di Stato, ovvero la nomina e la retribuzione amicale dei consulenti dei magistrati. Una nazione, dove il più onesto merita l’Asinara, ci dimostra che né toghe, né divise possono pretendere l’esclusiva della legalità, né possono permettersi il monopolio del parlarne agli studenti in incontri nelle scuole e nei convegni organizzati dalla sinistra – dice il dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” http://www.controtuttelemafie.it, e scrittore-editore dissidente che ha scritto e pubblicato la collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata sui propri siti web, su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo. 40 libri scritti dallo stesso autore e pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare. – Bene. Detto questo, un fatto merita di essere conosciuto.
Quando tutto è perduto, e quel tutto ti accorgi di essere vacuo, non rimane altro che tornare a fare i contadini. Ma ecco qui. Ci impediscono anche di fare questo. Si passa oltre sul fatto che il duro lavoro dei nostri antenati di sanificazione dei terreni da sterpaglie e pietre o di bonifica dalle paludi, al fine di renderli terreni fertili da coltivare, sia stato reso vano dall’invasione su quelle stesse terre di pannelli fotovoltaici e del ritorno delle sterpaglie. Truffaldini intenti ambientalisti di falsa tutela della natura, ma che nasconde l’odio verso gli umani od addirittura speculazioni mafiose, ci impongono l’invasione di alternative fonti di energia e ci impediscono di tagliare le sterpaglie, che oggi sono protette. Oggi tu tagli e pulisci le strade o il podere dai rovi? Giù multe perché tagli piante protette. Ed ancora. Da sempre i contadini hanno bruciato nello stesso campo gli avanzi delle potature degli alberi o le foglie cadute. Oggi tu li bruci? Giù multe perché inquini. Ma il colmo di questa Italia e che in campagna non ci puoi più proprio andare, salvo che accompagnato dal commercialista o dal consulente del lavoro, se no giù multe per violazione di norme sul lavoro.
“Vendemmia amara: 5mila euro per aver portato il nipote in campagna” è il titolo del fatto avvenuto e pubblicato su “La Voce di Manduria”. Un fatto che merita di essere conosciuto in tutta Italia, perché fatti analoghi succedono in tutto il “Mal Paese”, ma nessuno si degna di parlarne.
“Una multa di cinquemila euro per lo zio e una denuncia penale per i genitori di un quindicenne che prima dell’inizio dell’anno scolastico si era recato nella campagna dei parenti per assistere al taglio dell’uva. Quell’esperienza costerà cara alle due famiglie di agricoltori manduriani che durante la passata vendemmia in uno dei propri poderi hanno avuto la visita degli ispettori dell’Ufficio provinciale del lavoro di Taranto. La sanzione pecuniaria riconosciuta allo zio è per impiego di minore e lavoro irregolare mentre il papà del ragazzo è in attesa di una contestazione di reato penale per sfruttamento di lavoro minorile. L’episodio risale al 6 settembre 2012, ma solo ora è stata notificata l’intimazione a pagare. I protagonisti della vicenda sono due cugini manduriani che per la campagna dell’uva avevano organizzato il cantiere di vendemmia, assumendo regolarmente cinque operai che impiegavano alternativamente nei rispettivamente vigneti. Il 6 settembre si vendemmia dal cugino e il signor M. oltre alla moglie, componente del nucleo lavorativo familiare, porta con sé anche il figlio P. Il giovane oltre a frequentare lo Scientifico di Manduria, studia pianoforte (quinto anno) presso il conservatorio musicale “Paisiello” di Taranto (scuola privata). P. non ha iniziato ancora le lezioni in quanto le scuole non erano aperte alla data del 6 settembre. Decide allora di assistere alla vendemmia. Si mette affianco alla madre senza prendere parte ai lavori. Lo studente di fatto non vendemmia e questo perché il padre è un agricoltore che rispetta la legge. Quel giorno però arrivano in campagna gli ispettori del lavoro (un uomo e una donna), fanno i dovuti controlli e trovano tutto in regola salvo, per loro, la presenza di P. che viene considerato come un lavoratore, in quanto ha in mano delle forbici antinfortunistiche. Il tutto viene contestato dagli ispettori e a domanda al ragazzo se stesse lavorando Piero risponde di no, dice che si trovava affianco alla madre e non su un filare di vite e senza un secchio per la raccolta. A non convincere gli ispettori circa quella casualità è stato l’arnese che aveva tra le mani: le forbici antinfortunistiche che seppure non adatte al taglio dei grappoli sono state comunque considerate come un utensile da lavoro.”
Il fatto è successo a Manduria, comune sciolto ed in odor di infiltrazione mafiosa. Eppure, quando una denuncia partì dal Dr Antonio Giangrande, anche in occasione di concorsi pubblici truccati svolti in quel comune, i carabinieri delegati alle indagini scrissero nel rapporto che tutto quanto denunciato non era vero, anzi, erano propalazioni del Giangrande ed il magistrato archiviò. Del fatto si occupò la Gazzetta del Sud Africa e il magistrato per ritorsione denunciò a Potenza il Giangrande per diffamazione. I magistrati a Potenza furono pronti ad incriminare. Vuol dire che è più importate multare i campagnoli che lottare contro i mafiosi.
In questa Italia c’è solo da vergognarsi di farne parte. Non sanno più da dove prendere i soldi. Se una famiglia ha un piccolo appezzamento di terreno ereditato dagli avi, coltivato ad uliveto o vigneto o altro tipo di coltura, ed il capo famiglia portasse con sé moglie e figli, per raccoglierne i miseri frutti per i bisogni familiari, e vorrebbe farsi aiutare dai parenti il sabato o la domenica per sbrigarsi prima perché affaccendato in altre mansioni durante la settimana? Non può. Deve passare prima dai burocrati che devono stampargli in fronte il timbro della validazione e pagare tributi e contributi. Aprire la partita iva ed assumere i parenti con tanto di sfilza di norme da rispettare. Se non lo fa: giù multe e processi per caporalato.
Ma qui ci impediscono addirittura le salutari scampagnate di una volta. Qui più che non ci sono più le tradizioni di una volta, mi sa che non c’è più religione. Ed allora sì che la campagna viene abbandonata, l’unica vera e certa fonte di sostentamento. Che ci invoglino a rubare e finire in carcere? Almeno lì si mangia e si beve a sgrascio…e multe non te ne fanno.
Ben venga allora quel sonoro vaff… di quel comico che, a quanto pare, fa ridere meno dei nostri governanti ed aspira a governare un paese abitato da macchiette colluse e codarde.»
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
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A PROPOSITO DI RAPIMENTI DI STATO. NON SOLO FIGLI CONTESI

A PROPOSITO DI RAPIMENTI DI STATO. NON SOLO FIGLI CONTESI, SPESSO ANCHE I PADRI SONO VITTIME DI ORDINARIA INGIUSTIZIA.
Caso Navone: dubbi e domande lecite sul perché sia ancora detenuto. Riflessioni “a voce alta” da parte della redazione di “Lazio Opinioni” rivolte al dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” http://www.controtuttelemafie.it, e scrittore-editore dissidente che proprio sul tema ha scritto e pubblicato “ABUSOPOLI”. Libro facente parte della collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata sui propri siti web, su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo. Uno tra i 40 libri scritti dallo stesso autore e pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare.
Continua la Via Crucis di Navone Luigi Mauro, che dopo aver scontato l’anno scorso (in misura alternativa, come previsto da legge) 6 mesi di affidamento in prova al servizio sociale e pagato le spese pecuniarie previste per il reato commesso, dal 2 agosto, per una sentenza emessa dal Tribunale di Roma il 19 luglio scorso, si ritrova “a sorpresa” (poiché nessun preavviso è giunto al soggetto, né al suo difensore) prelevato dal suo domicilio e condotto al carcere di Mammagialla. Ricordiamo che il Navone (direttore del periodico “Lazio Opinioni”, fondatore ed ex Presidente della Università della Terza Età della Tuscia, nonché Presidente della L.I.D.H. Lazio – Ligue Interregionale Droits dell’Homme e partecipe di altre pregevoli iniziative culturali e umanitarie) per il mancato versamento degli alimenti alla ex (cosa per altro concordata, ahimè, solo verbalmente con la ex moglie a fronte della cessione di beni di valore che ben superavano il totale dovuto con gli alimenti per i mancati 3 anni al raggiungimento della maggior età del figlio) a seguito di una querela della donna, si è ritrovato con una sentenza penale (così come prevedono le nostre antiquate leggi!) che prevedeva 6 mesi di carcere ed il versamento di 300 euro di multa. Ora, in una società dove i divorzi sono all’ordine del giorno ed il versamento degli alimenti è esborso dovuto da tantissimi padri italiani, considerata l’attuale crisi che all’improvviso può lasciare a casa da lavoro chicchessia, il fatto di andare a finire in galera per un simile reato deve far preparare il governo alla costruzione di parecchie strutture detentive al fine di contenere tutti questi possibili (e già ce ne sono tantissimi) insolventi!!! Tuttavia, l’aspetto perverso (e terribile allo stesso tempo) della vicenda è che il Navone ha scontato la sua pena con “decorso positivo” (come si evince dalla relazione dei servizi sociali) tranne che per il “risarcimento del danno” alla ex: danno mai quantificato in alcuna sede di giudizio prima del suddetto 19 luglio!!!
Visto che nel nostro sistema il carcere è l’ultima spiaggia per un individuo che abbia commesso reati sul piano penale in quanto è nota la sua impossibilità di fatto (almeno così come è concepito e strutturato nel nostro paese) a rieducarlo e recuperarlo (ecco perché, d’altronde, esistono le misure alternative!!!) qualcuno sa spiegare perché si tiene rinchiuso il Navone (e non lo si manda ai domiciliari, evitando di occupare uno spazio carcerario, in una già pesante situazione di sovraffollamento) che oltre: a non essere un soggetto pericoloso per la comunità (non parliamo di reati contemplati all’art. 4 bis), ad aver già pagato per le sue colpe, ad avere una pena di 6 mesi, è in condizioni di salute seriamente e gravemente compromesse?
Ricordo che la Costituzione, all’art. 27 recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Quanto si sta “rieducando” quest’uomo che oltre a subire una palese ingiustizia, ad essere stato strappato alla sua famiglia (che sta, ovviamente, facendo il suo bel percorso rieducativo e riabilitativo con lui, soprattutto per quanto riguarda i valori e la giustizia nel nostro Stato!!!) viene messo in pericolo di vita per l’impossibilità della struttura carceraria di gestire il suo complicato quadro clinico??
Si sappia che dopo il colpo di scena del 19 settembre scorso, data in cui era fissata l’udienza a Roma per discutere del suo caso clinico e della compatibilità o meno con il regime carcerario e in cui ci fu un rinvio ad un “imminente” 31 ottobre per la mancanza nel fascicolo di Navone della relazione del Dirigente Sanitario del carcere di Viterbo, che doveva riferire sullo stato di salute del detenuto (Precisiamo che detta relazione, si scoprì poi, venne spedita il 18 ottobre all’ufficio del Magistrato di Sorveglianza di Viterbo, ma “misteriosamente” non era allegata al fascicolo…), finalmente il 3 ottobre Navone è stato ricoverato nel reparto protetto dell’ospedale Belcolle. Qui le analisi non solo hanno confermato le sue patologie (è: diabetico insulino dipendente, cardiopatico, iperteso, soffre di apnee notturne, ha calcoli ai reni…), ma, per esempio, l’alimentazione e somministrazione delle insuline giornaliere e notturne corrette, hanno riportato i valori glicemici ad uno standard “di sicurezza” non registrati nei due mesi trascorsi in carcere. La possibilità di dormire con una postura sollevata (il Navone ha chiesto ripetutamente un secondo cuscino in carcere per riuscire a respirare durante il sonno, ma gli è stato rifiutato perché non ce ne sono a sufficienza) ha diminuito gli episodi di apnea evitando sobbalzi e scompensi respiratori deleteri per un cuore già soggetto a fibrillazione atriale. Nonostante ciò il 15 ottobre, viste l’impossibilità di effettuare alcuni esami per indisponibilità dei macchinari e l’esigenza di liberare il posto letto, viene rispedito in carcere segnalato con un “codice 5”, ossia in carcere devono avere un particolare riguardo nel somministrargli le ben 19 tipologie di farmaci giornalieri prescrittigli, in precisi momenti della giornata. Peccato che tutto il personale infermieristico del carcere (ovviamente, insufficiente) non abbia solo il Navone da accudire, per cui a pochi giorni di distanza dal rientro non solo molti dei valori che erano rientrati nella norma, vanno nuovamente fuori livello di sicurezza, ma anche tutti quegli accertamenti (tipo la rilevazione dell’INR) utili per ponderare i dosaggi dei farmaci che possono, al contrario, essere più letali che vitali, non vengono eseguiti con le giuste scadenze. Ci si domanda allora quali altre evidenze occorrono perché si riconosca l’incompatibilità del Sig. Navone con il regime carcerario per gravi problemi di salute? Chi è preposto a stabilire e certificare questo prima che sia troppo tardi e, quindi, quali sono le regole e le procedure? Abbiamo chiesto delucidazioni al Prof. Francesco Ceraudo, per 37 anni direttore del centro clinico del carcere Don Bosco di Pisa, Presidente dell’Amapi (Ass.ne medici amministrazione penitenziaria italiana), docente presso l’università di Pisa, già Presidente del Consiglio Internazionale dei Medici Penitenziari (ICPMS) il quale dichiara che già solo per il fatto di essere infartuato, diabetico insulino-dipendente e con grave scompenso metabolico e con fibrillazione atriale esistono gli estremi per dichiararne l’incompatibilità con il carcere che, vuoi per la mancata assistenza, vuoi per le condizioni insane e di stress a cui la persona viene sottoposta, non può che portare ad un peggioramento letale di tali patologie. D’altronde, «affermare che il carcere sia solo una privazione della libertà è falso: la persona in carcere subisce una serie di afflizioni che magari non appaiono evidenti, ma che non sono meno reali», spiega Ceraudo, che specifica come la lunga reclusione causi traumi alla vista, alla deambulazione, oltre a una serie di traumi psicologici, e attinenti alla sfera sessuale “già in una persona che vi giunge sana, figuriamoci in chi ha un quadro patologico complesso!”. Il codice di Procedura Penale stabilisce che spetta al Dirigente Sanitario del carcere analizzare il caso e pronunciarsi in merito all’incompatibilità del soggetto col regime carcerario: questo solitamente viene accolto positivamente da un Magistrato del Tribunale di Sorveglianza responsabile e che rispetta quanto dettato nell’articolo 3 della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo” (Onu – 1948) e che recita: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”.
E, dunque, come mai, rispetto alle molteplici evidenze sopra menzionate, per il Navone chi di dovere non si è ancora pronunciato nei giusti termini consentendone la permanenza in luoghi più idonei (i domiciliari, ad esempio) al suo stato di salute che viene sempre più compromesso? Forse non si sta andando contro a quel “senso di umanità” citato nel suddetto articolo della Costituzione? “Ai posteri l’ardua sentenza”!
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
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PARLIAMO DI LAVORO. L’ITALIA DEGLI SFIGATI, DEI BAMBOCCIONI E DEGLI SCHIZZINOSI.

Chi sa fa, chi non sa insegna, dice un vecchio detto. Ed eccoci oggi a commentare proprio una frase di chi insegna. Suvvia perdoniamo loro che non sanno quello dicono. Generalmente ci si divide in teorici e pratici (tecnici). I primi a teorizzare, i secondi ad attuare. Ma se al Governo ci hanno messo i teorici (quelli che insegnano e non conoscono la realtà), perché li han definiti tecnici (capaci di fare)? Già, perché, chi sapendo ben fare (rubare e sprecare), non aveva più niente da fare e voleva precostituirsi un alibi. Giusto per dimostrare una mia tesi: da sempre siamo solo presi in giro e pure ne godiamo, anzichè ribellarci e buttar giù tutti dal carrozzone. L’apatia e l’accidia generale dei cittadini ti smonta, la collusione e la codardia delle vittime ti scoraggia. E la politica. I borghesi conservatori posso capirli, ma i cosiddetti comunisti, che si definiscono progressisti, ma che in realtà sono solo restauratori?
“Giovani siete sfigati”! Giovani siete “bamboccioni”! “Giovani non siate schizzinosi”! Poverini non è colpa loro, (di chi dice ste cazzate), anche perché i loro figli schizzinosi non lo sono affatto, non avendone ragione. In un paese dove il 78% dei lavori si trova per «segnalazione» (dato Eurostat), i figli di banchieri, professori universitari, rettori, presidenti di Cda, prefetti, manager pubblici, magistrati, principi del foro, tutti futuri (attuali) ministri, non hanno tempo per essere choosy, «schizzinosi». Già a me quando ero giovane i vecchi mi dicevano: “aspetta, sei giovane, non hai esperienza. Devi farti le ossa”. Bene oggi che ho 50 anni i giovani mi dicono: “fai largo, sei vecchio, da rottamare”. Ergo, la mia è una generazione a perdere. In attesa di un turno che non arriverà mai. Questo mio pensiero è dedicato a chi, ignavo, non si ribella a cambiar le cose, se non per sé, almeno per i suoi figli. Per non destinare lor il destino di esuli per fame o per onor.
«Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.»
Il canto diciassettesimo del Paradiso di Dante Alighieri si svolge nel cielo di Marte, ove risiedono gli spiriti di coloro che combatterono e morirono per la fede; siamo alla sera del 13 aprile 1300, o secondo altri commentatori del 30 marzo 1300.
Giustissimo prendersela con gli scandali della politica. Ma il problema è che l’Italia è divisa in due: chi è privilegiato (per conoscenze, relazioni familiari, corporazioni etc) e chi invece è abbandonato a se stesso. «Io faccio il senatore e so per esperienza che quando le persone si rivolgono a uno di noi è sempre per chiedere un aiuto personale, una promozione, un favore. E’ questa la cultura che alimenta i privilegi e uccide il merito». Dice Ignazio Marino. Ha ragione e lo dico io, Antonio Giangrande, uno che si è laureato a 36 anni, sì, ma come?
A 31 anni avevo ancora la terza media. Capita a chi non ha la fortuna di nascere nella famiglia giusta.
A 32 anni mi diplomo ragioniere e perito commerciale presso una scuola pubblica, 5 anni in uno (non gliene frega a nessuno dell’eccezionalità), presentandomi da deriso privatista alla maturità assieme ai giovincelli.
A Milano presso l’Università Statale, lavorando di notte perché padre di due bimbi, affronto tutti gli esami in meno di 2 anni (non gliene frega a nessuno dell’eccezionalità), laureandomi in Giurisprudenza.
Un genio, no, uno sfigato, sì, perché ho fatto sacrifici per nulla: fuori dall’università ti scontri con una cultura socio mafiosa che ti impedisce di lavorare. Pago caro il denunciare il malaffare ed i concorsi truccati di quelle istituzioni che pretendono rispetto, senza meritarlo.
Mio figlio Mirko a 25 anni ha due lauree ed è l’avvocato più giovane d’Italia (non gliene frega a nessuno dell’eccezionalità).
Primina a 5 anni; maturità commerciale pubblica al 4° anno e non al 5°, perché aveva in tutte le materie 10; 2 lauree nei termini; praticantato; abilitazione al primo anno di esame forense.
Un genio, no, uno sfigato, sì, perché ha fatto sacrifici per nulla: fuori dall’università ti scontri con una cultura socio mafiosa che ti impedisce di lavorare.
Alla fine si è sfigati comunque, a prescindere se hai talento o dote, se sei predisposto o con intelligenza superiore alla media. Sfigati sempre, perché basta essere italiani nati in famiglie sbagliate.
Schizzinosi no!! C’è da far umili lavori. Si và. Padre e figlio accomunati da identico destino. Fa niente che a parità di laurea il popolino appella il titolo di dottore solo a chi va in cravatta (immeritata) e non a chi va con le braghe sporche.
Certo è che nessuno va a chiedere ispezioni ministeriali per vagliare le risultanze dell’esame di abilitazione di avvocato o di notaio o di professore universitario, ovvero di verificare la legalità delle procedure di accesso alla magistratura. Compiti non corretti? Per le commissioni d’esame: Fa niente, conta il nome e l’accompagno. Il TAR, intanto, da parte sua sforna sentenze antitetiche tra loro su domande aventi lo stesso oggetto: dipende dall’avvocato che le presenta. Basta leggere il libro del dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” http://www.controtuttelemafie.it, e scrittore-editore dissidente che proprio sul tema ha scritto e pubblicato “CONCORSOPOLI”. Libro facente parte della collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata sui propri siti web, su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo. Uno tra i 40 libri scritti dallo stesso autore e pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare.
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
http://www.controtuttelemafie.it e http://www.telewebitalia.eu
099.9708396 – 328.9163996

UNISALENTO: IL GIOCO DELLE PARTI

I sindacati, Laforgia e Mantovano. Università del Salento. Una grande famiglia.
Tanto rumore per nulla. E’ tutto truccato e si accapigliano per tre compiti truccati.
Omertà invece per i concorsi in avvocatura, magistratura e notariato.
Università del Salento: una grande famiglia. Si intitolava un servizio di Tele Rama. I grappoli di famiglie che hanno fatto il nido nell’Università del Salento, il nepotismo che rischia di soffocare l’ateneo leccese e le contromisure che il rettore Domenico Laforgia ha cercato di mettere in campo, senza troppo successo. Scheda a cura di Danilo Lupo e Matteo Brandi, andata in onda nell’Indiano del dicembre 2008 dedicato all’università e condotto da Mauro Giliberti.
Con il discorso ufficiale del Magnifico Rettore, Prof. Ing. Domenico Laforgia, è stato inaugurato a Brindisi il 3/12/2009 l’anno accademico 2009-2010 dell’Università del Salento. Presenti alla cerimonia Gianfranco Fini, Presidente della Camera dei Deputati e diverse altre insigne personalità del mondo politico, economico e culturale della penisola salentina. In quella sede ha palesato una realtà, che molti cercano di ignorare o tacitare. “…..Questo è un altro dato che si presta ottimamente ad una lettura politica. Il familismo non è la ferita pruriginosa di questa o quella Università, ma di tutto il sistema occupazionale italiano. È una malattia endemica del Paese che ha contagiato tutti i campi, dalla politica alle libere professioni, dal giornalismo al mondo dello spettacolo, dall’industria a tutto il comparto pubblico. Familismo, nepotismo e clientelismo non sono le conseguenze di un sistema malato, come spesso si dice, ma sono il segno più evidente di una mancanza effettiva di alternative possibili. Ed è questa povertà di occasioni che mette in moto il meccanismo, che diventa perverso e nocente alla comunità quando non è neppure compensato dal merito.”
Che una vera corazzata di parlamentari italiani sottoscriva una dichiarazione di guerra contro un ateneo di provincia è un caso più unico che raro. Porta la firma di ben cinquantacinque deputati, infatti, la richiesta di ispezione ministeriale da eseguire nell’Università del Salento. L’interpellanza urgente, ideata dall’ex sottosegretario agli Interni, il pidiellino Alfredo Mantovano, è stata inoltrata ai ministri dell’Istruzione e della Funzione Pubblica, Francesco Profumo e Filippo Patroni Griffi. Di mezzo ci sono presunte condotte illecite e ragioni di trasparenza da ripristinare. Ci sono anche gli appalti che si accingono ad essere portati in gara. Tanti. Molti. Del valore, all’incirca, di cento milioni di euro. Nell’interpellanza si parla del Tar di Lecce. Tar che spesso adotta decisioni contrastanti tra loro, pur aventi lo stesso oggetto. E pur la stampa pubblica: Indagato presidente del TAR Lecce solo per abuso d’ufficio e solo lui. Antonio Cavallari, presidente del Tar di Lecce indagato per abuso d’ufficio per aver favorito un’azienda in odor di mafia difesa dal noto amministrativista leccese, avv. Pietro Quinto. Ahhh… Quante volte io e tutti gli avvocati non principi del foro che bazzicano le aule del Tar di Lecce avremmo desiderato un atto di sospensiva di sabato ed in 24 ore!!!!!!!! Poi si parla della Procura di Lecce. Mi astengo dal dare giudizi sull’esito delle mie denunce contro i concorsi truccati, ma mi riporto a quanto detto dal Procuratore Capo di Bari: «Non posso non rilevare che questo tipo di accertamenti è iniziato un anno fa, ma un’indagine a carico di un procuratore non può durare tanto. Occorre dare risposte rapide sia che siano stati commessi reati, sia che non siano stati commessi, soprattutto per la credibilità dell’ufficio».
La pensano allo stesso modo migliaia di persone indagate che vivono in un «limbo» e che chiedono senza fortuna di potere dire la loro. La giustizia non è uguale per tutti?
«Capita a me quello che accade a tanti cittadini. Rappresento, però, che, indipendentemente dalla vicenda personale, la questione si riverbera sull’intero ufficio. Non sostengo che la mia posizione è diversa, ma lamento che così si mette a rischio la credibilità della giustizia e delle istituzioni. Una situazione che deve essere definita in tempi rapidi. Per questo voglio subito essere interrogato».
Tanto rumore per nulla. Certo è che nessuno, tanto meno l’On. Alfredo Mantovano più volte interpellato, va a chiedere ispezioni ministeriali per vagliare le risultanze dell’esame di abilitazione di avvocato o di notaio o di professore universitario, ovvero di verificare la legalità delle procedure di accesso alla magistratura. Compiti non corretti? Per le commissioni d’esame: Fa niente, conta il nome e l’accompagno. Il TAR, intanto, da parte sua sforna sentenze antitetiche tra loro su domande aventi lo stesso oggetto. Basta leggere il libro del dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” http://www.controtuttelemafie.it, e scrittore-editore dissidente che proprio sul tema ha scritto e pubblicato “CONCORSOPOLI”. Libro facente parte della collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata sui propri siti web, su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo. Uno tra i 40 libri scritti dallo stesso autore e pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare.
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
http://www.controtuttelemafie.it e http://www.telewebitalia.eu
099.9708396 – 328.9163996

AMBIENTE E GIUSTIZIA: CHI COPRE CHI?

«A parte la scelta adottata dalla Fiom genovese e tarantina (da buoni comunisti) di stare dalla parte della magistratura, più che dalla parte degli operai, vogliamo cercare di capire chi copre chi, in riferimento alle magagne intorno alla questione ambiente e giustizia». Così esordisce il dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” http://www.controtuttelemafie.it, e scrittore-editore dissidente che proprio sul tema ha scritto e pubblicato “Taranto. Quello che non si osa dire” nella collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata sui propri siti web, su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo. Uno tra i 40 libri scritti dallo stesso autore e pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare.
La Liguria e la Puglia: ILVA e diossina, territori legati a doppio filo.
«Vogliamo che si faccia piena luce sul passato, in particolare su tutte le ricerche sulla diossina negli alimenti che non hanno mai registrato a Taranto alcun superamento dei limiti di legge, mentre quando noi abbiamo fatto fare quelle stesse analisi, sono emersi incredibili e scandalosi superamenti – affermano, come riferito da Maria Rosaria Gigante su La Gazzetta del Mezzogiorno, gli ambientalisti Rosella Balestra, Alessandro Marescotti e Fabio Matacchiera e sollecitano l’assessore regionale alle Politiche della salute, Ettore Attolini, perché si faccia luce su tali questioni. – Come mai dal 2002 al 2007 sono state analizzate cozze, orate, spigole, carne, uova, latte e mangimi senza mai trovare negli alimenti consumati a Taranto alcun superamento per diossina e Pcb?» Gli ambientalisti forniscono proprio gli esiti delle 72 analisi effettuate dal 16 ottobre 2002 a 23 maggio 2007 presso l’Istituto zooprofilattico di Foggia da cui risulta che non c’è mai stato alcuno sforamento (tutti i dati sono riportati sul sito http://www.tarantosociale.org). E’ bastato, invece, il pezzo di formaggio alla diossina a febbraio 2008 a scatenare la questione e ad aprire una vera e propria emergenza diossina col conseguente piano regionale di monitoraggio di latte e carni all’interno di un raggio di una ventina di chilometri dalla zona industriale. Proprio per la diossina ha chiuso la Copersalento di Maglie, per decenni un sansificio, poi trasformato in inceneritore di rifiuti e quindi in stabilimento per la produzione di energia. Varie sono state le denunce, le ispezioni, le chiusure, fino a quella definitiva posta dalla provincia di Lecce, dovuta all’inquinamento. La Copersalento è stata, infatti, accusata di aver superato per oltre 400 volte i limiti massimi di emissione di diossina. Per tutto ciò si aspetta di capire cosa succede a nostra insaputa. Da attente segnalazioni scopriamo alcune cose che la gente deve sapere, ma che nessuno dice.
Esito positivo inchieste giudiziarie=0
Risposte istituzionali ed amministrative=0
Atto Camera. Interrogazione a risposta scritta 4-08079 presentata da ELISABETTA ZAMPARUTTI, lunedì 19 luglio 2010, seduta n.354
ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO.
– Al Ministro della salute, al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
– Per sapere – premesso che: a Maglie, Ezio Armando Capurro è proprietario della Copersalento, per decenni un sansificio, poi trasformato in inceneritore di rifiuti e quindi in stabilimento per la produzione di energia. Varie sono state le denunce, le ispezioni, le chiusure, fino a quella definitiva posta dalla provincia di Lecce, dovuta all’inquinamento. La Copersalento è stata, infatti, accusata di aver superato per oltre 400 volte i limiti massimi di emissione di diossina;
secondo quanto riporta Terra di giovedì 8 luglio 2010, in Liguria, il pubblico ministero Biagio Mazzeo ha chiesto e ottenuto di sequestrare l’area dell’ex oleificio di Avegno, di proprietà del consigliere regionale Ezio Armando Capurro, perché la zona non è stata bonificata e si è trasformata in una discarica pericolosa -:
se i Ministri siano a conoscenza di quanto in premessa e di quali informazioni dispongano o intendano acquisire in merito alle attività di bonifica dell’ex oleificio di Avegno. (4-08079)
Ministero/i delegato/i a rispondere e data delega

Delegato a rispondere Data delega
MINISTERO DELLA SALUTE 19/07/2010
MINISTERO DELLA SALUTE 19/07/2010
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE delegato in data 10/09/2010
Stato iter:
IN CORSO
Fasi iter:
SOLLECITO IL 12/10/2010
SOLLECITO IL 01/12/2010
SOLLECITO IL 12/01/2011
SOLLECITO IL 03/02/2011
SOLLECITO IL 03/03/2011
SOLLECITO IL 06/04/2011
SOLLECITO IL 15/04/2011
SOLLECITO IL 23/05/2011
SOLLECITO IL 06/07/2011
SOLLECITO IL 21/09/2011
SOLLECITO IL 16/11/2011
SOLLECITO IL 15/02/2012
SOLLECITO IL 28/05/2012
SOLLECITO IL 04/07/2012
SOLLECITO IL 27/07/2012
L’inchiesta svolta da Floriana Bulfon su Terra News parla di un politico dotato di ubiquità. “Armando Capurro, già sindaco di centrodestra di Rapallo, è consigliere regionale della lista Burlando.
Amico del ministro Fitto, in Liguria chiede più inceneritori. Ma in Puglia il Pd lo accusa di danni ambientali. Rapallo eletto sindaco con una lista di destra, in regione Liguria con la sinistra. In Liguria a difendere i valori della lista Burlando, a Maglie un tempo in società con il cugino di Fitto. Ezio Armando Capurro è un uomo “dall’esperienza molteplice”, come lui stesso afferma. Docente, industriale, già sindaco di Rapallo e ora consigliere regionale della lista Burlando in Liguria. Proprio Claudio Burlando ha visto in lui il politico ideale e ha deciso di candidarlo nella sua lista civica alle ultime elezioni regionali. Il presidente ex ministro Ds, oggi Pd, ha scelto Capurro per le sue qualità e poco importa che qualcuno in quel di Maglie, in quella Puglia terra natale di Capurro, sostenga che sia un caro amico del ministro berlusconiano Raffaele Fitto. Importa ancor meno che il Pd in Puglia affermi che il Capurro industriale abbia causato con il suo stabilimento danni ambientali, diossina e controverso aumento di tumori. “La fabbrica della morte”, lo chiama il sito del Pd di Maglie. Questioni di poco conto, questioni pugliesi. Meramente locali. A dire il vero, qualche questione è stata aperta anche in Liguria, da quando il pm Biagio Mazzeo ha chiesto e ottenuto di sequestrare l’area dell’ex oleificio di Avegno di proprietà del consigliere perché la zona non è stata bonificata e si è trasformata in una discarica pericolosa. Ma poco importa anche questo. Capurro è uomo di oleifici e inceneritori, uomo di destra e di sinistra. E a Maglie, nel cuore del Salento, lo conoscono tutti bene.
E’ il proprietario della Copersalento, per decenni un sansificio, poi trasformato in inceneritore di rifiuti e quindi in stabilimento per la produzione di energia. Tortuosi gli assetti societari dell’impianto che ha visto tra i proprietari anche Raffaele Rampino, cugino del sindaco di Maglie Antonio Fitto, parente di Raffaele. E varie le denunce, ispezioni, chiusure, fino a quella definitiva posta dalla Provincia di Lecce. Denunce dovute all’inquinamento. La Copersalento è stata infatti accusata di aver superato per oltre 400 volte i limiti massimi di emissione di diossina. Carne alla diossina e livello di inquinamento oltre i limiti, in base alle rilevazioni dell’Arpa, tali da risultare “gravemente pericolosi per la salute”. Problemi del Capurro industriale, certo, e del Capurro pugliese. Ma appare curioso che il Capurro consigliere ligure si appelli a Burlando con una interrogazione con oggetto «conferimento rifiuti dalla Provincia di Imperia alla discarica di Scarpino». La provincia di Imperia, quella cara all’ex ministro Scajola. Il Capurro ligure sostiene che per fronteggiare il problema dei rifiuti occorra dare attuazione immediata di un Piano di Rifiuti che permetta di risolvere le criticità e il superamento delle fasi emergenza. Capurro consigliere regionale vuole sapere come si intenda, e con quali tempi, realizzare più moderni impianti di trattamento finale dei rifiuti che prevedano il recupero energetico. Insomma, termovalorizzatori o gassificatori, indispensabili per risolvere i problemi dei rifiuti.
Saranno l’anello di congiunzione tra il Capurro pugliese e quello ligure?”
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
http://www.controtuttelemafie.it e http://www.telewebitalia.eu
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